Il 90% degli enti membri del NHFI ha avviato nel 2015 una progettualità sperimentale nel proprio territorio, il restante 10% sta partendo nel 2016*.
Mancando un finanziamento nazionale in Italia e un reddito minimo di cittadinanza per le persone indigenti, le risorse stanziate nei progetti variano da progetto a progetto (dai 30 mila annui, ai 200 mila per il biennio di sperimentazione). Le risorse vengono da fondi comunali, 8 per 1000 della Chiesa Cattolica, donazioni, fondi propri dell’ente.
I costi dei progetti (sussidi per la casa, affitto, lavoro sociale, servizi di supporto etc,..) sono sostenuti per il 67% dagli enti gestori dei progetti, per il 35% dai Comuni che co-finanziano i progetti come il comune di Bologna, Rimini, Ravenna. E ancora lontana l’integrazione socio-sanitaria (solo il 2% dei costi è sostenuto dalle aziende sanitarie locali). Mentre le famiglie e le persone in appartamento compartecipano ai costi di gestione con oltre il 40% delle proprie risorse (redditi da lavoro, pensioni, sussidi, e altre forme di entrate di cui scoprono di avere diritto grazie al supporto delle equipe).
Ottimo anche il contributo dei volontari (40) che lavorano a fianco ai 110 operatori professionali coinvolti nei progetti.
L’IRES-FVG ha analizzato le cause del grave disagio abitativo che caratterizza le persone accolte nei progetti HF. In linea con l’indagine nazionale sulle Persone Senza Dimora di Istat-fio.PSD-MLPS e Caritas Italiana, anche i ricercatori dell’istituto di ricerca del Friuli Venezia Giulia rilevano che il 90% ha problemi di reddito insufficiente o situazione debitoria, l’80% di lavoro precario e mal retribuito. Il 50% ha problemi legati a fratture o conflittualità familiari e il 30% alle condizioni di salute. Moltissimi pur non trovandosi “per strada”, vivono in alloggi temporanei e insicuri (sfratti, abitazioni non idonee…) e vengono quindi accompagnati dalle equipe in appartamenti adeguati.
L’Università di Padova, che sta studiando i livelli di salute e benessere delle persone in Housing First, ci dice che la possibilità data alla persone di scegliere l’appartamento e di ricevere un accompagnamento professionale continuo sono i due aspetti maggiormente apprezzati dalle persone intervistate dagli studiosi dell’Università di Padova.
Inoltre su 50 interviste, il livello di salute migliora progressivamente a distanza di 1, 6 e 12 mesi dall’inserimento.
Buoni anche i livelli di integrazione sociale. Il 72% delle persone “si sente a casa nel luogo in cui vive”, il 50% riesce a frequentare luoghi del quartiere con amici per pranzare o cenare insieme, il 40% frequenta luoghi di culto.
Molti programmi offrono assistenza per trovare lavoro, propongono attività di orientamento professionale e counseling, nonché forme di auto-impiego nei programmi/enti stessi allo scopo di favorire il più possibile il reinserimento lavorativo.
In linea con i risultati delle esperienze internazionali dell’Housing First, anche in Italia abbiamo un 80% di stabilità e permanenza in appartamento. Inoltre su un campione di 58 persone, 8 persone sono uscite dai programmi per raggiunta autonomia (Torino, Cosenza, Padova, Agrigento, Caltanissetta). Si tratta di donne e nuclei familiari. Alcuni decessi (3) e alcuni abbandoni (7 per insostenibilità del progetto).
*Fonti: schede di monitoraggio fio.PSD – Valutazione ex ante IRES – FVG; Valutazione sulla Salute Università di Padova
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